di Raffaele Gorgoni
Alla fine ci fu chi si rivolse al TAR.
Un avvocato e olivicoltore oritano per impedire l’eradicazione dei suoi ulivi in Contrada Frascata, pose la questione nella più ipnotica delle sedi. In contrasto i tecnici e gli agronomi, incalzanti i partiti politici tutti, nel panico le associazioni di categoria e sindacali, remota l’Unione Europea che … questi italiani, prima i migranti, poi la xylella … ma che palle! Sordi i santi alle novene e alle processioni, alle quarantore e ai rosari. Riluttanti ai prodigi i Patroni e quindi nella più nera disperazione gli olivicoltori, non restò che il TAR, che non fa miracoli, ma ordina una sospensiva, quella cosa che, come un sigaro e una croce di cavaliere, di sabauda memoria, non si nega a nessuno.
La sospensiva, come dice la parola stessa, lascia tutto com’è in attesa che il Tribunale Amministrativo Regionale accerti il merito della questione fino ai più alti gradi di giudizio. Nel senso comune, più tempo passa, meglio è, perché in genere a ricorrere al TAR è un privato cittadino che si sente minacciato e quindi trattasi di persona in carne ed ossa, mentre la controparte è lo Stato o una delle sue infinite articolazioni e quindi trattasi di astrazione, di entità remota e immateriale e certo non riconosciuta come comunità dei cittadini, ma anzi, per antica tradizione, essenza avversa, pericolosa, occhiuta, invasiva e dannosa.
Va da sé che tale asimmetria inclina a un tempo barbiturico, a un procedere sonnacchioso, essendo interesse diretto del cittadino di prendere tempo mentre l’interesse dello Stato è indiretto e contrastante con quello degli avvocati in lizza per entrambe le parti.
Di TAR in TAR e di TAR in Consiglio di Stato, tuttavia si coltiva almeno l’illusione di fermare il tempo, di traslitterare in Terra del Ricorso quella che, invero, De Martino definì Terra del Rimorso, quella plaga meridionale perennemente sospesa tra l’angoscia del remoto e l’ansia del quotidiano, entrambe da esorcizzare con ritualità varie. Decaduto il tarantismo ad attrazione turistica, i meridionali trovarono nel Ricorso al TAR quel magro senso di beneficio che danno tutte le sospensive, come un analgesico che temporaneamente attenua il dolore o un ansiolitico che modera la depressione, un calice di rosso che aiuta a superare un momento di cattivo umore. Il TAR serve almeno a rallentare il tempo, a frenare gli inesorabili macchinismi della globalizzazione, ad arginare l’impulso della modernizzazione, a mitigarne gli effetti immediati, ad arginare quel senso di lacerazione che il susseguirsi di eventi eterodiretti, infligge.
Naturalmente la xylella se ne fotte del TAR e della sua sospensiva e procede nella sua azione distruttrice.
Ma gli agricoltori colpiti possono tornare a sperare che i loro ulivi non saranno abbattuti, che la farmacopea agricola compirà il miracolo che i santi si rifiutano di compiere o, ipotesi ancora migliore, che gli ambientalisti scopriranno la più ecocompatibile delle ricette. Siccome non si sa mai, meglio comunque fare pressioni a tutti i livelli perché ristori, risarcimenti, indennizzi, rifusioni, reintegrazioni siano deliberate in favore delle vittime che ovviamente restano indistinte, tra onesti agricoltori che hanno curato amorevolmente i loro uliveti ma sono stati egualmente colpiti e quelli, per così dire, assenteisti, che hanno abbandonato ogni coltura ma senza dimenticare di percepire annualmente la loro brava quota di integrazione dall’Unione Europea.
Naturalmente a tutto questo si aggiunge il vagheggiamento, assai diffuso tra i proprietari di uliveti vista mare, di rendere edificabili quei terreni, magari con robusta volumetria e chi s’è visto, s’è visto.