Vino, donne, storie: Rosalia Ambrosino
di Adele Galetta
Metodica, razionale e determinata. In questi tre aggettivi, che sono nello stesso tempo pregio e difetto (dice) è racchiusa la personalità di Rosalia Ambrosino, giovane enologa, campana di nascita ma pugliese di adozione. Unica donna e ultima di quattro figli, “quando mio padre – racconta – qui in Puglia, mi ha vista con dimestichezza aggirarmi tra i filari conducendo un trattore, mi disse scuotendo il capo: “Pensavo di esserci riuscito e invece è venuto fuori il mio quarto uomo!”. Tifa (ovviamente) per il Napoli, Città che ama in assoluto. Si emoziona mangiando il crudo di pesce e nella sua borsa non manca mai il cavatappi.
Rosalia, come nasce l’amore per il vino?
Sono cresciuta tra le vigne dei miei nonni alle pendici del Vesuvio. Nonostante non fossimo produttori abbiamo sempre coltivato la vite. Ho iniziato i miei studi di Enologia, però, per un caso fortuito. Mi ero da pochi giorni iscritta alla facoltà di Ingegneria meccanica, quando una mattina di settembre una cara amica mi chiese di accompagnarla ai suoi test d’ingresso per la Facoltà di Enologia. Accettai, e decisi per intrattenermi di eseguire anche io questi Test. Vi risparmio i dettagli, ma vi dirò che ad appena un mese dall’inizio dei miei studi capii che il vino e il suo meraviglioso mondo era sempre stato dentro di me.
Preferisci stare più in vigna o in cantina?
Sono, forse, forme diverse dello stesso amore. Per me tutto prende inizio in vigna. Il ciclo vitale della pianta di Vite è vita e seguirlo è vedere avanti a te vita che avanza, questo trova il suo seguito in cantina, dove queste piccole forme viventi prendono danno vita a prodotti maturi, da te educati e indirizzati ad avere un buon futuro nel mondo esterno.
Quale è il suo punto fermo?
Me stessa. Ho imparato, in questi ultimi anni, soprattutto, che ciò che mi fa stare bene e talvolta male dipende esclusivamente da me, da quello che scelgo.
C’è qualcosa che non rifaresti?
Rifarei, soprattutto, gli errori da cui ho avuto modo di imparare.
E cosa, invece, rifaresti?
Dedicare la mia vita così intensamente al lavoro e le mie attenzioni al Vino.
Gioie e delusioni: in che maniera si sono presentate nelle tua vita?
Le prime nel sentire nelle persone che stanno bevendo il mio vino esattamente quello che io avevo pensato nel mio progetto. Le seconde nel doversi confrontare con un mercato, spesso, spietato che fatica a cogliere dettagli enologici nascosti dietro ad ogni singolo progetto di bottiglia.
In quale personaggio storico ti rispecchi?
Dante Alighieri e la “Divina Commedia” sono per me la caratterizzazione del mio perfezionismo. Si materializza in quel libro il mio pensiero. Cotanta perfezione fa di me l’essere più entusiasta nel rileggerne i versi, non mi stanco mai di capire quanto sia bella quell’opera. Ulisse è il personaggio che rievoca in me la libertà, l’audacia, il desiderio di conoscenza, lo spingersi oltre, tutti i valori in cui credo fermamente.
E’ vero che ami Napoli ma quale è per te la più bella località della Puglia?
Foggia, vista da casa mia. È come un quadro dove il Gargano è lì a fare da cornice.
Sei giovane, hai costruito un’importante carriera ma c’è un sogno che, più di tutti, ti piacerebbe realizzare?
Vincere l’Oscar dei vini con il mio ETTORE Nero di Troia.
Che vino vorresti essere?
Un Taurasi Riserva, spigoloso al punto giusto ma con carattere, amabile al contempo, fiero della terra che lo ha caratterizzato.
Come racconteresti il vino?
A mio avviso un buon vino deve saper raccontare le sue origini, deve lasciar trapelare dove è nato, quale clima e terreno lo hanno caratterizzato. In pratica la viticoltura e l’enologia non sono solamente attività economiche, anzi, rivestono per lo più un ruolo “etico”, il loro obiettivo non si esaurisce con la produzione di un vino buono, genuino e commercialmente valido. All’Enologia, in particolare quella italiana, è affidata la salvaguardia di ambienti di particolare valore storico e culturale.