Francesco Mazzone nel nuovo Consiglio direttivo della FIVI
di Michele Peragine
Sono oltre millesettecento in tutta Italia quanti aderiscono a Fivi (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), quaranta in Puglia. L’associazione, nata nel 2008, e’ il riferimento di figure professionali impegnate ogni giorno a salvaguardare l’intera filiera vitivinicola ed a valorizzare il territorio di appartenenza.
Nei giorni scorsi la romagnola Rita Babini è stata eletta presidente. E nel consiglio figura per la Puglia il ruvese Francesco Mazzone, titolare di un’azienda agricola ed affermato enologo.
Nelle linee programmatiche del Presidente Babini priorità viene data al riconoscimento della figura giuridica del vignaiolo.
Condivido pienamente le priorità espresse dalla Presidente Babini, perché toccano questioni fondamentali per il futuro dei vignaioli indipendenti. Il riconoscimento giuridico della figura del “Vignaiolo” non è solo una richiesta formale, ma una necessità per garantire tutele adeguate e per affermare con chiarezza la nostra identità. Il vignaiolo indipendente è un produttore che segue direttamente tutto il processo, dalla vigna alla bottiglia, con un legame autentico con la terra e con il vino che produce. Questa peculiarità deve essere riconosciuta e valorizzata, perché rappresenta una garanzia di qualità, di trasparenza e di autenticità per il consumatore.”
Un altro punto essenziale riguarda la rappresentatività nei Consorzi di tutela.
Troppo spesso le decisioni sulle denominazioni vengono prese senza tenere conto delle esigenze dei vignaioli, che invece sono i primi custodi del territorio e della qualità. La rappresentatività nei Consorzi di tutela è cruciale per garantire che la voce dei vignaioli abbia il giusto peso nelle decisioni che riguardano il futuro delle denominazioni.
Altra questione primaria è l’unificazione dei sistemi di controllo.
Il tema incide direttamente sul nostro lavoro quotidiano. Oggi siamo costretti a gestire un labirinto burocratico fatto di controlli ripetitivi e sovrapposti, che ci distolgono dall’attività produttiva. Vorremmo regole chiare ed efficienti, che garantiscano la trasparenza senza penalizzare chi lavora onestamente.
Negli ultimi mesi il comparto vitivinicolo pare essere sotto attacco, e non soltanto per effetto di alcune denunce mediatiche che mettono in evidenza non poche criticità.
È evidente che il settore vitivinicolo sta attraversando un momento di forte pressione, sia per le difficoltà economiche e burocratiche che già conosciamo, sia per un clima mediatico che spesso mette in risalto le criticità senza raccontare fino in fondo la complessità del nostro lavoro. Certamente esistono problemi, ed è giusto affrontarli con trasparenza, ma è altrettanto fondamentale difendere il valore del vino italiano e il ruolo centrale che i vignaioli indipendenti ricoprono nella tutela del territorio, della biodiversità e della qualità. Le semplificazioni mediatiche rischiano di gettare ombre su un intero comparto fatto di migliaia di produttori onesti, appassionati e rispettosi delle regole. Per questo, come FIVI, dobbiamo essere ancora più uniti nel raccontare la realtà del nostro lavoro e nel contrastare ogni generalizzazione che possa danneggiare l’immagine del vino italiano. Allo stesso tempo, dobbiamo anche essere i primi a pretendere rigore e correttezza all’interno del settore, perché la credibilità si costruisce con i fatti e con un impegno quotidiano verso la trasparenza e la qualità.
I consumi di vino sono in calo. Ma altre preoccupazioni sono determinate da una situazione internazionale con molte ombre, dai dazi americani, dalle campagne ostili sulla salute, e ora anche un disagio legato a nuove misure legate al codice della strada.
Condivido. Ma a preoccupare ancora di più è il contesto generale in cui ci troviamo a operare: da una parte il mercato internazionale sta diventando sempre più complesso, tra dazi e restrizioni che potrebbero penalizzare il nostro export; dall’altra, in Europa assistiamo a campagne sulla salute che spesso demonizzano il vino senza fare distinzioni tra abuso e consumo consapevole. A tutto questo si aggiungono misure come quelle legate al codice della strada, che rischiano di avere un impatto significativo sul consumo nei ristoranti e sull’enoturismo. Siamo tutti d’accordo sul fatto che la sicurezza stradale sia una priorità, ma servono regole equilibrate che non penalizzino in modo indiscriminato un settore che è parte integrante della nostra cultura e della nostra economia. Come FIVI, dobbiamo far sentire la nostra voce per tutelare il vino come prodotto agricolo, parte della nostra tradizione e del nostro stile di vita, promuovendo un consumo responsabile e informato, senza cadere in facili demonizzazioni. Allo stesso tempo, dobbiamo lavorare per trovare soluzioni che permettano ai vignaioli di affrontare le difficoltà attuali senza perdere di vista la qualità e l’identità dei loro vini.
Argomento di attualità è quello del vino dealcolato. Qual è il suo pensiero a riguardo.
Il tema del vino dealcolato va affrontato con pragmatismo e chiarezza. Non siamo contrari alla sua produzione, se esiste un mercato che lo richiede, ma deve rimanere ben distinto dal vino tradizionale. Per questo, riteniamo che i vini dealcolati non debbano rientrare nelle denominazioni d’origine: un vino a denominazione deve rispettare regole precise legate al territorio, alla varietà e ai metodi di produzione, e la dealcolazione snatura questi principi. Non possiamo accettare, inoltre, che questi prodotti accedano ai finanziamenti europei destinati alla promozione del vino. Le risorse pubbliche devono sostenere il vino vero, quello che nasce dalla vigna e dall’identità territoriale, non prodotti industriali che seguono logiche completamente diverse. Come FIVI, siamo per la tutela e la valorizzazione del vino autentico. Se il mercato chiede alternative, è giusto che ci siano, ma senza che questo vada a intaccare l’essenza della viticoltura e senza sottrarre risorse ai vignaioli , che ogni giorno lavorano per portare avanti la tradizione e la qualità del nostro vino.
La Puglia, tra le prime regioni vitivinicole d’Italia, non ha ancora un proprio specifico Piano. Quali sono le ragioni?
La Puglia è una delle regioni vitivinicole più importanti d’Italia, sia per superficie vitata che per produzione, eppure manca ancora un Piano vitivinicolo strutturato. Le ragioni sono diverse, ma il nodo principale è l’assenza di una visione strategica unitaria che metta al centro le esigenze reali del comparto e, soprattutto, delle piccole aziende che ne rappresentano l’anima più autentica. Negli anni, il settore ha fatto enormi passi avanti in termini di qualità, identità e valorizzazione dei vitigni autoctoni, grazie al lavoro dei produttori e dei vignaioli indipendenti. Tuttavia, le istituzioni e le rappresentanze locali non hanno ancora elaborato uno strumento concreto che possa guidare lo sviluppo della viticoltura pugliese in modo coerente e lungimirante. La FIVI è grata all’Assessorato all’Agricoltura per l’inclusione nel Tavolo Vitivinicolo e per la disponibilità dell’Assessore ad ascoltare alcuni rappresentanti FIVI Puglia, me compreso, sulle istanze e le proposte del nostro settore. Tuttavia, dobbiamo constatare che a queste aperture non sono seguite azioni concrete a sostegno dei piccoli vignaioli. L’Assessorato continua a spingere sulle grandi aziende, con investimenti rivolti alla spumantizzazione in una terra che non ha una storica vocazione spumantistica, mentre ignora completamente i rosati, che invece rappresentano una delle più autentiche espressioni della viticoltura pugliese e avrebbero bisogno di una strategia di valorizzazione seria e strutturata. Anche l’utilizzo dei fondi OCM continua a penalizzare le piccole aziende, con misure che privilegiano punti vendita extra aziendali e logistica, invece di sostenere chi lavora direttamente la propria terra e promuove il vino attraverso il contatto diretto con i consumatori. Si sta poi favorendo l’impianto di uve a bacca bianca per riequilibrare la crisi dei vini rossi, ma senza un vero piano strategico e senza una chiara visione sul lungo periodo. Il rischio è di ritrovarci tra qualche anno con una giacenza eccessiva di vini bianchi e di ripetere gli stessi errori fatti con i rossi. Tutto questo avviene senza avere un quadro chiaro e aggiornato del catasto viticolo regionale, uno strumento fondamentale per prendere decisioni informate e non basate su strategie di breve periodo.
Voi che cosa proponete?
Noi vignaioli indipendenti chiediamo una visione più attenta, che parta dalle reali esigenze del territorio e non da scelte imposte dall’alto. È necessario rivedere le politiche di finanziamento per dare maggiori opportunità alle piccole aziende, abbassando i minimi finanziabili nei bandi e introducendo criteri che premiano davvero il radicamento nel territorio e la produzione di qualità. Il dialogo è un passo importante, ma non basta più: servono risposte e scelte coraggiose per sostenere chi lavora ogni giorno nelle vigne e nelle cantine pugliesi con passione, fatica e rispetto per la tradizione.
Agli inizi di aprile torna il Vinitaly. Che cosa dovrebbero fare i produttori pugliesi per evitare sterili riproposizioni di modelli superati e contribuire alla diffusione del vino “Made in Puglia” in grado di favorire una distinzione?
Il Vinitaly deve essere un investimento, non una vetrina statica. Oggi non possiamo più permetterci di partecipare alle fiere senza una strategia. Dobbiamo investire su qualità, innovazione e visione a lungo termine, perché il mercato è sempre più selettivo e competitivo. Il “Made in Puglia” non si costruisce con slogan generici, ma con azioni precise e mirate. Servono azioni concrete per dare ai nostri vini un’identità chiara e competitiva. La Puglia deve puntare sulle sue unicità: vitigni autoctoni, terroir specifici e metodi di produzione artigianali. Oggi il consumatore è più attento, più esigente e più selettivo. Non cerca solo un buon vino, ma una storia, un’identità, un’esperienza. Dobbiamo creare momenti esclusivi per raccontare la nostra identità. Profumi della macchia mediterranea, suoni della terra pugliese, racconti dei vignaioli che spiegano la loro visione: dobbiamo emozionare chi ci incontra. Il mercato italiano è saturo e le esportazioni stanno diventando più complesse. Dobbiamo identificare mercati in crescita e lavorare su azioni concrete per conquistarli, come eventi esclusivi per importatori selezionati, collaborazioni con ristorazione di alto livello e sinergie con il settore turistico per promuovere il vino pugliese nei paesi target. Dobbiamo collegare la promozione fieristica al turismo del vino in Puglia, offrendo pacchetti esperienziali e percorsi enogastronomici che portino i visitatori direttamente nelle cantine. Il Vinitaly non è più un semplice evento fieristico, è una sfida: chi sa distinguersi vince, chi si limita a esserci scompare. Se la Puglia vuole essere protagonista, deve cambiare marcia.