Intervista a Marco Scortichini (CREA)
Di Luciana Doronzo
D – Quale è l’applicabilità del protocollo di difesa nei confronti di Xylella fastidiosa messo a punto negli scorsi anni?
R – Si tratta di un protocollo di facile applicazione da parte di tutti coloro che coltivano olivo. Intendo dire che può essere effettuato sia da piccoli coltivatori, anche part-time o in pensione, che da aziende di notevoli dimensioni e professionalità. Esiste, tuttavia, un requisito fondamentale che deve essere rispettato da tutti: la costanza nell’applicazione alla chioma, mediante nebulizzazione, del prodotto a base di zinco-rame-acido citrico, una volta al mese, da inizio primavera ad inizio autunno.
Vanno ricordate parimenti altre fondamentali operazioni da intraprendere per la riuscita del protocollo stesso: le operazioni meccaniche al terreno in inverno per distruggere le uova svernanti della Sputacchina, le falciature ripetute da inizio febbraio ad inizio maggio per eliminare dalle erbe spontanee le forme giovanile residue del vettore, una potatura regolare con cadenza massima biennale e il mantenimento e/o miglioramento della fertilità del suolo. L’azione combinata di tale operazioni, da ripetere ogni anno, consente agli olivi di vegetare e produrre anche in aree fortemente colpiti dalla malattia.
D – Quindi la gestione di Xylella è da considerarsi alla stregua di altre malattie delle piante?
R – Esattamente. In agricoltura i piani di difesa delle colture non riescono ad eliminare del tutto i patogeni che, ogni anno, si ripresentano e vanno nuovamente contenuti. A seconda dell’andamento climatico vanno effettuati più trattamenti per salvaguardare la produzione ma il patogeno non scompare dai campi. Per le specie arboree, la coltivazione di vite, ciliegio, melo, pero, pesco sono classici esempi di come i piani di difesa dalle malattie vanno calibrati in funzione della biologia del patogeno e dell’andamento climatico. Per Xylella fastidiosa ed olivo il concetto è lo stesso, nel senso che si tratta di un patogeno da contenere con professionalità come detto sopra. I trattamenti alla chioma saltuari, le mancate lavorazioni al terreno, potature con cadenze lunghe (3-5 anni), il mancato ripristino della fertilità del suolo sono tutti fattori che, favorendo la diffusione del vettore ed indebolendo l’albero, non consentono di poter contrastare l’azione patogeno del batterio.
D- Il protocollo può essere applicato anche ad alberi secolari?
R- Per gli alberi secolari l’applicazione della strategia di controllo è la medesima. A riguardo, protocollo di contenimento è stato, recentemente, presentato in un convegno FAO inerente la salvaguardia del patrimonio paesaggistico internazionale legato al mantenimento della biodiversità arborea. Poter disporre di una strategia per la tutela del notevole patrimonio paesaggistico e storico-culturale che l’olivo rappresenta per gran parte del territorio pugliese, significa poter continuare a mantenere non solo un’eccellenza alimentare ma anche una filiera turistica di notevole interesse economico. In un epoca di forti cambiamenti, chi sarà in grado ancora di produrre un olio dalle elevate caratteristiche organolettiche, come quello salentino, e pugliese in generale, può senz’altro affermare che sta contribuendo alla salvaguardia di un prodotto eccellente.
D- Da un punto di vista scientifico, quali sono le principali acquisizioni ottenute?
Nella recente 14° conferenza internazionale sui batteri fitopatogeni, che si è svolta ad Assisi dal 3 all’8 luglio che ha interessato circa 200 scienziati provenienti da 37 Paesi,, sono stati presentati i principali risultati delle ricerche effettuate dal CREA in collaborazione con l’Università del Salento inerenti il contenimento di Xylella fastidiosa in Salento. Inoltre, sono state evidenziate le principali difficoltà riscontrate nell’applicazione del protocollo. Si è evidenziato come il protocollo riesca ad abbassare significativamente la concentrazione del batterio all’interno dell’apparato fogliare dell’albero. Si arriva, infatti, a concentrazioni del patogeno che consentono sia l’attività vegetativa che produttiva della pianta. Nelle aziende studiate, pur in presenza di notevole infezione da xylella nelle aziende limitrofe, si è ottenuta una produzione di 30 q.li/ettaro. Tali studi sono stati effettuati su aziende situate in piena zona infetta che avevano applicato costantemente il protocollo di difesa per 3 o 4 anni consecutivamente. Da notare che le piante confinanti non trattate sono tutte morte.
L’efficacia del prodotto è data dalla sua notevole azione battericida nei confronti di xylella fastidiosa, come hanno dimostrato approfonditi studi in vitro.
Negli studi si è anche evidenziato come i suoli del Salento siano molto poveri di alcuni microelementi, come zinco e rame, che potrebbero aver determinato una diminuzione nelle capacità di difesa degli alberi. L’efficacia dei trattamenti è spiegabile anche in virtù che gli ioni zinco e rame, somministrati all’albero, oltreché svolgere attività battericida rivestono anche una funzione nutrizionale e fisiologica in generale. Da segnalare che i suoli del nord barese non hanno mostrato tale scarsità in microelementi. Data la forte similarità della struttura calcarea dei terreni nelle diverse aree pugliesi, è interessante verificare quali circostanze possano aver causato l’impoverimento dei suoli salentini. Inoltre, è stato possibile evidenziare un marcatore biologico, l’acido chinico, che aumenta nelle foglie con l’innalzarsi dell’infezione causata dal batterio. Tale marcatore potrebbe essere potenzialmente utilizzato in tecniche diagnostiche atte ad accertare la presenza di Xylella in piante asintomatiche.
D- Quali sono state le principali difficoltà riscontrate nell’applicazione del protocollo?
R – L’aver trasferito da una parte del mondo scientifico a tutte le maestranze del settore agricolo, olivicoltori, agronomi, tecnici, riferimenti politici, l’assunto che “la xylella non si cura” ha comportato il conseguente abbandono delle aziende. Si ribadisce che nelle emergenze fitosanitarie mettere insieme più soluzioni consente di gestire al meglio l’epidemia. Dopo 9 anni dall’inizio dell’emergenza, gran parte del territorio olivicolo salentino è irrimediabilmente distrutto e gran parte di questa devastazione poteva essre evitata da una gestione più inclusiva verso le “cure”. Paradossalmente ora, sia in ambito nazionale che internazionale, vengono presentati specifici bandi ed approvate linee di ricerca per il controllo di xylella fastidiosa. Forse i nostri sforzi sono serviti almeno a far ricredere sulle possibilità di gestione in campo del batterio. Alle difficoltà causate dall’epidemia va, inoltre, aggiunta la crisi della remunerazione dell’olio, soprattutto quello extra vergine. La realizzazione di bassi prezzi non aiuta chi volesse intraprendere le azioni di contenimento sopra esposte.
D – Quali prospettive intravvede per la gestione del problema?
R – Nei territori o nelle aziende, anche dell’area infetta, dove esistono ancora alberi con almeno il 50% della chioma apparentemente sana è possibile l’applicazione del protocollo, fatte salve le raccomandazioni cui si diceva sopra sulla continuità dei trattamenti annuali e sulle pratiche di contenimento del vettore, potatura e fertilità del suolo. In aree indenni, la strategia di difesa potrebbe essere applicata come misura preventiva per ridurre il rischio di insorgenza della malattia.