A oltre 13 anni dall’inizio dell’epidemia, proprio in provincia di Lecce, tornano verdi Ogliarole Salentine e Celline di Nardò diventate resilienti al batterio. Le piante restano infette, ma vivono e in molti casi danno anche frutti
La geografia ed il paesaggio del Salento sono cambiati negli anni, perché resta ben poco degli oliveti che si estendevano a perdita d’occhio da Otranto a Maglie, da Lecce a Gallipoli: sono stati i luoghi teatro del primo attacco sferrato dalla Xylella fastidiosa contro l’olivicoltura pugliese e che lentamente, ma implacabilmente, dal 2013 in avanti ha messo in seria discussione la stessa possibilità di continuare a coltivare olivi in provincia di Lecce, infettando qualcosa come 54mila ettari di oliveto in Puglia, giungendo ormai alle porte di Bari.
Eppure, da almeno tre anni a questa parte, si osserva un fatto nuovo: tra Gallipoli e Maglie molti olivi malati, secchi e abbandonati a se stessi, pian piano hanno ricominciato ad inverdirsi e in alcuni casi a dare anche frutti. A documentare questo fenomeno per la prima volta un articolo apparso nei giorni scorsi sul sito web della rivista Sapere Scienza, firmato da Marco Scortichini, dirigente di ricerca al Centro di Ricerca per l’Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura di Roma del Crea e batteriologo vegetale, e da Domenico Ragno, per anni alla guida dell’Agenzia Regionale per le Attività Irrigue e Forestali della Regione Puglia e noto esperto di olivi e Xylella.
Per saperne di più, abbiamo sentito uno degli autori, Marco Scortichini, che nel corso degli anni ha messo a punto un metodo di convivenza con la Xylella in area infetta non soggetta a misure di eradicazione, basato sulla cura dell’oliveto, a cominciare dalle lavorazioni meccaniche del terreno e dalla somministrazione di un concime fogliare.
Le piante che rinverdiscono vedono ancora la presenza del batterio?
“Sì, le piante sono ancora infette e il livello di infezione non è cambiato negli anni, solo che a differenza di quattro o cinque anni fa sono tornate a vegetare, si è riformata la chioma e in molti casi l’agricoltore è tornato a raccogliere le olive”.
Quello della ripresa vegetativa in area infetta è un fenomeno che può definirsi puntuale, raro o diffuso?
“Sicuramente è un fenomeno diffuso, di certo non bisogna immaginare milioni di alberi in ripresa vegetativa, ma svariate centinaia sì e in luoghi anche piuttosto diversi tra di loro, con olivi coinvolti giovani o anche piuttosto vetusti”.
Sembra quasi un miracolo, ma cosa rende possibile tale fenomeno?
“Non è un miracolo, e questa forse è l’unica cosa certa, di sicuro queste piante, tutte tra le cultivar più sensibili alla Xylella, quindi Ogliarola Salentina e Cellina di Nardò, sono tornate a vegetare benché infette e apparentemente morte. Un altro elemento che è possibile aggiungere, perché comune a tutte le piante oggetto di questo inatteso fenomeno, è che erano state letteralmente abbandonate, nessuno più per molti anni aveva loro offerto qualsivoglia forma di cura, il che, se da un lato ha favorito l’insorgere di ogni forma di vegetazione spontanea ed infestante, ha sicuramente messo a riposo i terreni prima stressati dalle pratiche colturali”.
Cosa non è più finito nei terreni?
“Un po’ di tutto, di sicuro è venuto a mancare, come documenta una ricerca dell’Università del Salento, l’accumulo di sodio nel terreno, generalmente conseguenza dell’uso di diserbanti e riconosciuto come fattore di stress per i terreni (un aumento del 30% dopo due anni di utilizzo di diserbante). Ma sono mancate anche potature, irrigazioni d’emergenza, interventi insetticidi contro la mosca olearia, qualsiasi cosa utile a condurre normalmente un oliveto. Ma è anche vero che proprio in assenza della mano dell’uomo si è ricostruito un microbioma naturale, che potrebbe aver avuto un ruolo, ovviamente tutto da studiare e verificare in questo caso; stiamo parlando di oliveti abbandonati da dieci anni e più, e che sono rifioriti da soli e contro ogni previsione”.
Maglie (Lecce), l’impianto di Ogliarola Salentina abbandonato ha rinverdito le chiome
(Fonte: Marco Scortichini)
Una forma di resilienza biologica, quali altri fattori potrebbero averla favorita?
“Abbiamo avuto annate agrarie con temperature estive molto elevate: cosa che avrebbe dovuto favorire la Xylella e, in teoria, offerto maggiori possibilità alla pianta di soccombere definitivamente, ma non è avvenuto. Un altro elemento che avrebbe potuto influenzare queste piante è la morte di molti altri alberi d’olivo nei paraggi, e quindi una supposta riduzione della pressione d’inoculo, ma è pur vero che l’erba alta, la vegetazione spontanea generatasi con l’abbandono, ha invece favorito l’insetto vettore e – comunque – non parliamo certo di piante guarite, ma di olivi che hanno la Xylella, ma vegetano invece di perire. Diciamo anche che potrebbe persino trattarsi di un fenomeno transiente: l’alternativa a questo è che invece si tratti di una capacità sviluppata da queste piante di convivere con il batterio. In ogni caso è un fenomeno meritevole di studio e ulteriore approfondimento, anche per capire quale ruolo potrebbero aver avuto queste piante oggi resilienti nel corso dell’infezione”.
Insomma, par di capire che un fatto nuovo c’è e vada in ogni caso approfondito: potrebbero venirne fuori cose interessanti e risolutive?
“Interessanti sicuramente, se e quanto risolutive è forse ancora presto per dirlo”.