Xylella, dal dna degli ulivi selvatici una ” ricetta ” anti-batterio
Coldiretti Lecce: dai semenzali locali una speranza per l’olivicoltura
Ulivi selvatici in grado di resistere a Xylella. Arriva dal Salento una speranza per la convivenza con la “fastidiosa”, grazie al Dna (germoplasma) di alcuni olivastri e alle tante nuove potenziali varietà originate da semenzali spontanei sul territorio.
Coldiretti Lecce ha illustrato questa mattina (12/12) nella Masseria del Feudo, in agro di Presicce una nuova linea di ricerca, nata da un’intuizione dell’imprenditore agricolo Giovanni Melcarne e realizzata con Cnr (Ipsp di Bari e Ibbr di Perugia), Università di Bari e centro “Basile Caramia”. Ad accendere l’interesse dei ricercatori, il ritrovamento in zone fortemente contaminate dal batterio, di 10 esemplari unici di olivastri asintomatici negli agri di Presicce, Ugento e Castrignano del Capo, risultati tutti negativi alle analisi per Xylella (ripetute tre volte in un arco temporale di sei mesi). I dieci olivastri (o semenzali) sono stati intercettati dopo una perlustrazione capillare di “selvatici” e si trovano tutti vicini a ulivi risultati dalle analisi in laboratorio carichi di batterio.
La ricerca sui semenzali locali, dunque, proverà ad individuare fattori di resistenza, tolleranza o addirittura immunità a Xylella fastidiosa. Dopo la buona notizia dei meccanismi di resistenza del Leccino e l’avvio delle sperimentazioni in zona infetta (sia con giovani piante inoculate o esposte ad infezioni naturali che attraverso innesti su piante secolari malate) si andrà così ora ad esplorare una biodiversità ed una variabilità genetica ancor più ampie. La speranza è quella di trovare proprio nel “bosco” di ulivi salentini la soluzione “genetica” definitiva alla malattia, considerata ormai non più eradicabile in gran parte del Tacco d’Italia. Ma non solo. Da una prima analisi dei profili genetici dei 10 semenzali è emerso, oltre ad una eccezionale variabilità genetica, il fatto che alcuni di essi sono “figli” delle cultivar locali Cellina di Nardò e Ogliarola Salentina. E da questa “progenie” si potrebbero preservare, tramite eventuali nuove varietà locali, alcune delle caratteristiche delle cultivar autoctone dominanti, oggi a rischio di estinzione nel Salento proprio per colpa del batterio.
“Si è già provveduto a innestare le marze di questi dieci olivastri su piante infette di Ogliarola in campo, come lo è stato per le 250 cultivar nel progetto “Xylella quick tollerance test “, nonché su semenzali infetti in ambiente controllato, al fine di accelerare i tempi per la verifica e arrivare nel minor tempo possibile a decretarne l’elevata resistenza o, si spera, l’immunità al batterio”, spiega il ricercatore del Cnr Perfederico La Notte, che aggiunge: “Se fosse confermata l’elevata resistenza/immunità di questi o altri semenzali, avremmo a disposizione caratteri preziosi per il miglioramento genetico, anche se la valutazione produttiva/tecnologica/qualita
Per i ricercatori, quella dei “selvatici”, rimane comunque una strada importante da percorrere per almeno due motivi: 1) la quasi totalità delle attuali varietà mondiali di olivo deriva proprio dalla selezione, operata dagli agricoltori per scopi produttivi e qualitativi, di semenzali spontanei e non da incroci controllati (questi ultimi solo recentemente avviati su olivo); 2) nel Salento vi sono numerosi esemplari selvatici, tutti geneticamente diversi e rappresentanti una importante banca di geni e caratteri locali che potrà rappresentare una chiave di volta alla drammatica fitopatia.
“Il Salento leccese, in cui tutte le piante sono state esposte, per almeno quattro anni, ad una fortissima pressione di inoculo di Xylella – osserva il presidente di Coldiretti Lecce, Pantaleo Piccinno – si conferma, come più volte ribadito da Coldiretti un immenso laboratorio a cielo aperto ove poter condurre osservazioni e studi su ampia scala, in pieno campo”.
“A questo punto – aggiunge il direttore di Coldiretti Lecce, Giuseppe Brillante – ci auguriamo che alcuni “figli” delle nostre cultivar, Ogliarola e Cellina, possano servire, attraverso gli innesti, a salvare il patrimonio olivicolo monumentale mantenendo in questo modo una similitudine di tipo genetico/varietale con l’attuale